Teatro

La forza del destino inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala

Riccardo Chailly inaugura la Stagione d’Opera 2024/2025 con La forza del destino di Giuseppe Verdi

La regia è di Leo Muscato, le scene di Federica Parolini e i costumi di Silvia Aymonino. Protagonisti Anna Netrebko, Brian Jagde, Ludovic Tézier e Vasilisa Berzhanskaya.

Diretta televisiva su Rai1 e radiofonica su Radio3 il 7 dicembre dalle 17:45.

La forza del destino di Giuseppe Verdi inaugura sabato 7 dicembre alle ore 18 la Stagione 2024/2025 del Teatro alla Scala. L’opera è diretta dal Direttore Musicale Riccardo Chailly e interpretata da Anna Netrebko (Donna Leonora; la parte sarà sostenuta il 28 dicembre e il 2 gennaio da Elena Stikhina), Brian Jagde (Don Alvaro; Luciano Ganci sosterrà la parte il 22 e 28 dicembre e il 2 gennaio), Ludovic Tézier (Don Carlo di Vargas; la parte sarà sostenuta da Amartuvshin Enkhbat il 2 gennaio), Vasilisa Berzhanskaya (Preziosilla), Alexander Vinogradov (Padre Guardiano; la parte sarà sostenuta da Simon Lim il 28 dicembre e 2 gennaio), Marco Filippo Romano (Fra Melitone), Fabrizio Beggi (il Marchese di Calatrava), Carlo Bosi (Mastro Trabuco). Marcela Rahal è Curra, Huanhong Li è un Alcalde e Xhieldo Hyseni un Chirurgo.

L’opera sarà eseguita integralmente nella versione del 1869 ripensata da Verdi per la Scala, secondo l’edizione critica curata per Ricordi da Philip Gossett e William Holmes nel 2005.

La regia è firmata da Leo Muscato, con scene di Federica Parolini, costumi di Silvia Aymonino e luci di Alessandro Verazzi.

Come ogni anno lo spettacolo sarà ripreso dalle telecamere di Rai Cultura e trasmesso in diretta televisiva su Rai1 e radiofonica su Radio3. La Prima sarà preceduta mercoledì 4 dicembre dall’Anteprima per gli Under30 e seguita da 7 repliche il 10, 13, 16, 19, 22, 28 dicembre e 2 gennaio.

La forza del destino è il nono titolo verdiano di Riccardo Chailly alla Scala e la sua decima inaugurazione di stagione. Dopo le giovanili Giovanna d’Arco nel 2015, Attila nel 2018 e Macbeth nel 2021, l’anno scorso il Maestro aveva scelto per il 7 dicembre un grande titolo spesso proposto in apertura di stagione: Don Carlo. Al contrario La forza del destino è un capolavoro relativamente poco presente in cartellone: se le ultime esecuzioni risalgono al 1999 con Riccardo Muti (versione scaligera del 1869) e al 2001 con Valery Gergiev e i complessi del Mariinskij (versione di San Pietroburgo del 1862), l’unico allestimento in apertura di stagione è addirittura del 1965, con Gavazzeni sul podio e la regia di Margherita Wallmann. La Forza, prosecuzione di un percorso verdiano, si lega anche al recente Boris Godunov, un’opera fortemente influenzata proprio dal capolavoro pietroburghese di Verdi.

La forza del destino

La prima versione della Forza del destino va in scena a San Pietroburgo il 10 novembre 1862, dopo una gestazione già complicata. La prima è programmata per il 1861 ma di fronte all’indisposizione della protagonista, Emilia La Grua, Verdi torna a Sant’Agata e rivede profondamente la partitura: gli interventi continueranno fino all’ultimo, persino durante le prove. Per il palcoscenico del Teatro Imperiale il compositore ha immaginato un lavoro dalla drammaturgia nuova e distante dai precedenti: un vasto affresco volontariamente ignaro di unità aristoteliche di tempo, luogo e azione in cui i personaggi agiscono su uno sfondo variopinto che mescola nobili e popolani, sacerdoti e militari, momenti mistici e trivialità da locanda o da accampamento. Qualche anno prima Verdi aveva scritto: “Quando verrà il poeta che darà all’Italia un melodramma vasto, potente, libero d’ogni convenzione, vario che unisca tutti gli elementi e soprattutto nuovo!!” La fonte principale per il librettista Francesco Maria Piave è il dramma Don Álvaro o la Fuerza del sino di Ángel de Saavedra, ma il carattere composito dell’opera è già insito nella pluralità delle fonti letterarie: nell’Atto terzo trova posto una scena del Wallensteins Lager di Schiller, che Verdi aveva già in mente nel 1849 per il progetto mai realizzato dell’Assedio di Firenze, con “soldati, vivandiere, zingari, astrologhi, persino un frate che predica alla maniera più comica e deliziosa del mondo”.  L’estetica di Verdi qui attinge alla fantasia dell’Ariosto contro il Tasso, alla libertà di Shakespeare, Schiller e Hugo contro le imposizioni del classicismo. Come già in Macbeth e Rigoletto (a partire – lo ricordiamo bene grazie al 7 dicembre 2015 – da Giovanna d’Arco). Ma ora i personaggi si moltiplicano, gli spazi si allargano e aumenta il contrasto tra il sublime e il triviale. Dalla fusione dei generi si passa all’esaltazione del loro contrasto. In mezzo ci sono Meyerbeer e il Grand-Opéra ma anche l’Opéra comique. Ne è testimone il famigerato “rataplan” i cui precedenti più illustri si trovano nella Fille du régiment e negli Huguenots. Pagina spesso esecrata, ma Verdi scrisse di Preziosilla e Melitone: “Quelle parti sono importantissime, e sotto un certo rapporto le prime dell’opera. La forza del destino è la prima opera che Verdi scrive dopo l’Unità d’Italia, ed è a tutti gli effetti un lavoro post-risorgimentale: il popolo che canta con una sola voce nei grandi cori di Nabucco o Macbeth ha perso la sua coesione e si presenta come una plebe cinica, affamata e dispersa. Proprio questo realismo impietoso e questo contrasto tra episodi giustapposti costituiranno, come spiega Julian Budden, la principale influenza di Verdi sullo sviluppo dell’opera in Russia, con il superamento dell’eredità di Glinka e la difficile affermazione di Musorgskij e del suo Boris Godunov nel 1874. L’operazione compiuta da Verdi con la Forza e ripresa da Musorgskij è soprattutto la fusione tra il linguaggio del melodramma e la forma principe della letteratura ottocentesca: il romanzo.

Dopo San Pietroburgo i ripensamenti continuano, a partire dalla prima ripresa a Madrid nel 1863. Nel 1869 la nuova versione approntata per la Scala introduce, oltre alla fiammeggiante Sinfonia, un finale completamente nuovo. A San Pietroburgo e Madrid il già impressionante catalogo di morti e maledizioni si concludeva, dopo il duello in scena, con il suicidio di Alvaro, furente e disperato, in un’atmosfera apertamente nichilista. Già nel 1863 però Verdi aveva scritto “Non bisogna arrischiare La forza del destino com’è ma il difficile sta nel trovare questo benedetto scioglimento”. Il libretto rivisto con il nuovo poeta Antonio Ghislanzoni rivela un’altra influenza letteraria, quella di Alessandro Manzoni. Negli stessi mesi Ghislanzoni stava traendo dai Promessi sposi il libretto dell’opera dallo stesso titolo di Errico Petrella, che sarebbe andata in scena a Lecco nel 1869. Nel nuovo finale il romanticismo nero della chiusa accesa e disperata di San Pietroburgo si distende, il duello e la morte di Carlo si spostano fuori scena, la rassegnazione si sostituisce alla bestemmia. Il sublime terzetto in cui Padre Guardiano chiama Alvaro e Leonora morente alla rinuncia e alla preghiera conclude la lunga peripezia nella pace della fede – e della morte. Il 30 giugno 1868 Verdi avrebbe incontrato, per la prima e unica volta, il Manzoni nella sua casa di via Morone a Milano.

La forza del destino alla Scala

L’opera segna la riconciliazione tra Giuseppe Verdi e la Scala dopo la frattura intervenuta con Bartolomeo Merelli in occasione della prima assoluta della Giovanna d’Arco nel 1845. Verdi non avrebbe più scritto un’opera nuova per il Teatro milanese fino a Otello nel 1887 ma opera modifiche sostanziali alla partitura della Forza presentata a San Pietroburgo nel 1862 in occasione della prima al Piermarini, che avviene il 27 febbraio 1869 con Eugenio Terziani sul podio, Teresa Stolz protagonista e lo stesso Verdi a sovrintendere all’allestimento. Nell’800 l’opera sarebbe stata ripresa solo nel 1871 e 1877, con la direzione di Franco Faccio. È Arturo Toscanini a riprendere il titolo nel nuovo secolo con una rappresentazione nel 1908, e quindi nel 1928 con una nuova produzione firmata da Giovacchino Forzano. Le scene, di Edoardo Marchioro, fanno da sfondo anche alle produzioni dirette da Giuseppe Del Campo (1929, 1930), Gabriele Santini (1934), Gino Marinuzzi (1940), Victor de Sabata e Nino Sanzogno (1943).

Nel Dopoguerra il primo direttore a riportare alla Scala La forza del destino è Victor de Sabata nel 1949, di nuovo alternandosi con Nino Sanzogno. La regia è di Carlo Piccinato e le scene di Nicola Benois, che firmerà i bozzetti di tutti gli allestimenti fino al 1965. Particolare affezione per questo titolo dimostra Antonino Votto, che la dirige nel 1955 con Renata Tebaldi come Leonora e Giuseppe Di Stefano come Don Alvaro, e poi ancora nel 1957 e 1961. Nel 1965 Gianandrea Gavazzeni sceglie La forza per aprire la Stagione, la regia è di Margherita Wallmann e le scene ancora di Nicola Benois. Il cast del 7 dicembre vede Ilva Ligabue, Carlo Bergonzi, Piero Cappuccilli (sostituito dal secondo atto da Carlo Meliciani), Nicolai Ghiaurov e Giulietta Simionato per l’ultima volta Preziosilla alla Scala dopo quattro produzioni. In locandina è presente tra i danzatori solisti anche Luciana Savignano, da poco entrata a far parte del Corpo di Ballo della Scala.

Dopo aver inaugurato la Stagione 1965/66 La forza del destino torna alla Scala nel 1978, diretta da Giuseppe Patanè per la regia di Lamberto Puggelli. Le scene di questo allestimento leggendario sono firmate da Renato Guttuso, che aveva già collaborato alla creazione di altri tre spettacoli alla Scala. Storico il cast, con Montserrat Caballé, José Carreras, Piero Cappuccilli e Nicolai Ghiaurov. Bisogna aspettare 21 anni perché il titolo venga rimesso in cartellone, e a riprenderlo ci pensa Riccardo Muti con la regia di Hugo de Ana, che firma anche scene e costumi. Tra i protagonisti Georgina Lukács, José Cura, Leo Nucci e Luciana D’Intino ma anche Alfonso Antoniozzi come Melitone. Questo stesso allestimento verrà portato in tournée in Giappone l’anno seguente sempre con Muti sul podio: saranno le ultime esecuzioni della versione scaligera del 1869 con i complessi del Teatro. La Forza torna però alla Scala anche nel 2001, quando i complessi del Mariinskij diretti da Valery Gergiev eseguono la versione di San Pietroburgo del 1862 nell’ambito della rassegna Grandi Teatri per Verdi.